Le notizie sulla provenienza degli Etruschi sono discordanti: tuttavia, le evidenze a tutt’oggi raccolte rinviano ad un’origine autoctona e recenti studi di linguistica hanno dimostrato consistenti affinità della lingua etrusca con quella retica parlata sulle Alpi. Possiamo quindi affermare che gli Etruschi sono un prodotto tecnologico di provata origine italiana. Mi sono permesso di definirli così perché hanno dato vita ad una civiltà molto evoluta: come scrisse Tito Livio, «L’Etruria aveva una tale disponibilità di mezzi da raggiungere con la sua fama non solo la terra ma anche il mare per tutta l’estensione dell’Italia, dalle Alpi allo stretto di Sicilia». Non vogliamo però raccontare la storia del popolo etrusco, quanto esplorare i luoghi in cui hanno vissuto: quindi abbandoniamo la narrazione storica e cominciamo il nostro itinerario.
L’itinerario inizia da Fiesole (FI) di cui abbiamo già dato una breve descrizione nell’articolo “Chianti, a tu per tu con il vino”, apparso sul numero 96-97 della rivista, descrizione che però intendiamo approfondire in questo articolo. La città fu il più importante centro etrusco di oltre Arno, strategico nodo di comunicazione tra l’Etruria e i municipi di ascendente etrusco in Val Padana. Benché le testimonianze monumentali siano piuttosto tarde, alcuni rinvenimenti tombali di tipo villanoviano fanno pensare che sull’attuale acropoli e sui colli circostanti fossero già presenti insediamenti abitativi risalenti al IX–VIII secolo a.C. La presenza etrusca nel territorio fiesolano è inoltre testimoniata dai reperti emersi dall’area archeologica e dalle numerose necropoli disseminate in tutta l’antica lucumonia di Vipsul.
A prescindere dalle suppellettili rituali e votive, dagli oggetti di uso quotidiano e dai corredi funerari, visibili nel Museo Civico Archeologico, la più manifesta testimonianza sono le mura costruite con enormi blocchi squadrati provenienti dalla zona circostante, talmente possenti che addirittura servirono nel 1125 da efficace baluardo alla conquista fiorentina di Fiesole che tuttavia dovette capitolare all’esercito nemico il quale, presa la città, effettuò una parziale demolizione della cortina muraria. Oggi le mura etrusche circondano ancora Fiesole su tre lati e posseggono il loro tratto meglio conservato lungo la via che da esse prende il nome. Altra importante testimonianza della presenza etrusca è l’area sacra interna al parco archeologico. Il tempio romano, oggi visibile, fu eretto con dimensioni appena un po’ più grandi sul precedente tempio etrusco, dedicato probabilmente ad una divinità salutare. Tuttavia l’area archeologica non si esaurisce con i ritrovamenti di epoca etrusca, ma continua con importanti reperti del periodo di dominazione romana.
La scoperta del teatro si deve all’archeologo prussiano Friedman Schellerschein, mentre le arcate situate ad est e ovest furono rinvenute nel medioevo e volgarmente ribattezzate dagli abitanti “Buche delle Fate”. Il teatro, realizzato secondo il sistema greco, ovverossia sfruttando la naturale pendenza del terreno, scavato per la realizzazione dei gradini della cavea, è considerato tra i più antichi teatri romani, essendo stato costruito verso la fine del I secolo a.C., mentre quelli di Roma risalgono all’inizio del II secolo a.C. Dietro al teatro si trovano i resti delle terme, costruite da Silla nel I secolo a.C. e ingrandite ai tempi di Adriano: furono scoperte nel 1891, partendo dalle tre arcate da sempre visibili, ma a cui nessuno aveva saputo dare una funzione, quella di costituire il terrazzo del complesso termale verso valle.
Anche medioevo e rinascimento hanno lasciato a Fiesole edifici di sicuro interesse architettonico ed artistico, come il palazzo pretorio, costruito nel Trecento e rimaneggiato nel Quattrocento, il Duomo dedicato a San Romolo edificato nel 1028 e ampliato nel Duecento, il convento di San Francesco, costruito a partire dal 1225 dalle monache agostiniane presso il sito dell’acropoli etrusca, poi romana ed infine del castello fiesolano distrutto dai fiorentini nel 1125. Si presume che nel 1390 subentrarono alle monache i francescani che, grazie alla munificenza di Guido del Palagio, iniziarono ad edificare un nuovo edificio conventuale; a quel periodo risalgono il protiro affrescato, il dormitorio di San Bernardino ed uno dei due chiostri.
Altro convento di Fiesole è San Domenico, fondato nel 1406 e nel quale visse il Beato Angelico che dipinse per il monastero e per la chiesa affreschi e diverse tavole, purtroppo disperse all’epoca delle soppressioni napoleoniche ed oggi presenti in diversi musei stranieri; a San Domenico rimane tuttavia ancora la pala dell’altar maggiore, anche se spostata in nuova collocazione. Discorso a parte meritano le ville, tante, tutte belle e tutte circondate da splendidi giardini. A visitarle in modo completo c’è da perdersi e non basterebbero parecchi giorni di permanenza. Sono ben trentacinque, infatti, quelle meritevoli di una visita, così come vanno visti Castel del Poggio ed il castello di Vincigliate, ambedue risalenti XIX secolo, anche se per il primo si tratta della ricostruzione dell’edificio andato distrutto nel 1348 per opera dei fiorentini. Il secondo invece è il risultato di un restauro commissionato da John Temple Leader, un ricchissimo inglese che, attraverso dieci anni di ristrutturazione, creò un nuovo castello dal gusto “gothic revival”, un modo molto british per definire un falso d’autore.
Fu David Herbert Lawrence, scrittore e poeta inglese a dare di Volterra (PI) la più bella definizione: la descrisse come «La più settentrionale delle grandi città etrusche del Tirreno: è ad una trentina di chilometri nell’entroterra, su una scogliera rocciosa esposta ai quattro venti, con una vista sterminata che arriva fino al mare dall’alto della valle del Cecina …». Purtroppo però non ebbe parole egualmente lusinghiere per il suo patrimonio etrusco: «Ci sono ancora alcune tombe aperte, in particolare due fuori a Porta a Selci. Ma, pur non avendole viste, non penso che siano di grande importanza. Quasi tutte le tombe aperte a Volterra, una volta svuotate del loro contenuto, sono state riempite di terra, in modo che i contadini non avessero a perdere neanche qualche metro della preziosa terra coltivabile. Un tempo si vedevano molti tumuli, ma per la maggior parte sono stati spianati. Sotto alcuni c’erano curiose tombe rotonde costruite in blocchi non squadrati, che non somigliavano a niente di quanto si trova più a Sud; ma Volterra è sempre assai diversa dall’Etruria meridionale». Fortunatamente le opinioni personali non sono sempre esatte e ciò che ci riserva oggi Velàthri, il nome etrusco di Volterra, del suo passato smentisce ciò che scrisse il Lawrence: infatti, le grandi necropoli villanoviane delle Ripaie e della Guerruccia, le mura costruite alla fine del IV secolo a.C., la Porta dell’Arco e i vari reperti ospitati nel museo etrusco sono una grande testimonianza del passato volterrano.
La città faceva parte, a partire dalla seconda metà del VI secolo a.C., della confederazione etrusca, detta dodecapoli o lucumonie. Raggiunse il suo massimo splendore quando i centri etruschi meridionali, come Veio, Tarquinia, Cerveteri, Vetulonia, cominciarono a decadere a causa della vicinanza di Roma. Viceversa Volterra mantenne una parziale indipendenza dall’Urbe, anche grazie alla politica lungimirante della famiglia dei Ceicna (nome che in latino divenne Caecina). Parziale indipendenza che mantenne anche quando, ultima tra le lucumonie fu costretta a riconoscere la supremazia di Roma. In seguito tuttavia fu coinvolta nella guerra civile tra Mario e Silla e, schierata a favore del primo, subì l’assedio condotto personalmente da Silla, durato due anni che la portò ad un devastante saccheggio e alla privazione della cittadinanza romana dei suoi abitanti. Dopo la caduta di Silla però, la città, anche grazie ai buoni uffici di Cicerone amico dei Ceicna, ritornò in possesso dei suoi possedimenti, godendo nuovamente di un periodo di prosperità. Ma fu un fuoco di paglia: isolata dal punto di vista viario e non più necessaria come baluardo contro i Galli, ormai assoggettati, perse rapidamente d’importanza fino a completa decadenza.
Furono gli Etruschi, più di duemila anni fa, a scoprire e a lavorare per primi l’alabastro, eccellenza artigianale di Volterra i cui laboratori ebbero un’importanza fondamentale sull’economia cittadina sino a metà del secolo scorso. Già del secolo VIII a.C., com’è testimoniato dalla Tomba di Badia composta di lastre di marna gessosa, vennero in contatto con questa pietra, ma fu solo nel III secolo a.C., forse per merito di alcuni artigiani greci, che fu utilizzata per la fabbricazione di monumenti funerari, escludendone l’uso per oggettistica o costruzioni a carattere civile. Sebbene oggi non rimangano che pochi esempi della tipica bottega artigiana volterrana, è possibile ammirare all’opera alcuni maestri artigiani, e la produzione attraverso i secoli presso l’ecomuseo dell’alabastro.
Ci siamo fatti prendere la mano da ciò che riguarda gli Etruschi ed è rimasto poco spazio per descrivere il patrimonio monumentale di Volterra. Ci limiteremo a citare quello ci sembra più rappresentativo, lasciando ai lettori il piacere della scoperta del rimanente. Ci pare d’uopo iniziare la descrizione dalle mura etrusche, modificate in epoca medievale, dove si ammira la Porta all’Arco facente parte della cinta realizzata nel IV secolo a.C. Rimanendo nell’ambito delle architetture militari, non si può non visitare la Rocca Medicea, edificata nel 1342 dal duca di Atene Gualtieri VI di Brienne ed in seguito modificata da Lorenzo il magnifico. Il visitatore potrà perdersi tra le tantissime architetture a carattere civile: le più antiche sono il teatro della fine del I secolo a.C. e l’anfiteatro, scoperto nel 2015 e tutt’ora in fase di scavo. Oltre quello romano, molto ricco è anche il patrimonio lasciatoci dal medioevo, con la massima espressione nei Palazzi dei Priori, Minucci-Solaini, Incontri-Viti, Pretorio, nel Duomo, nei conventi di San Girolamo al Velloso, dei Capuccini, nella Badia dei Santi Giusto e Clemente, nelle quindici chiese, nelle sei pievi e nelle nove porte murarie. Discorso a parte meritano i padiglioni dell’exospedale psichiatrico, attivo sino al 1977, nella cui biblioteca-museo sono conservati interessanti e sconvolgenti testimonianze sulla casa di cura.
Populonia (LI), l’antica Fufluna, da Fufluns dio etrusco del vino e dell’ebbrezza, è una frazione di Piombino: in posizione dominante sul golfo di Baratti, fu una delle dodici città appartenenti alla dodecapoli etrusca e fu anche l’unica sorta lungo la costa. Importante crocevia sin dall’età del bronzo, Populonia crebbe in splendore grazie alla posizione geografica che la metteva al centro dei traffici commerciali del medio Tirreno. La vicinanza con l’arcipelago toscano e alle sue isole che fungevano da vero ponte, la rese interlocutore privilegiato con Corsica e Sardegna, accrescendo ulteriormente la sua forza commerciale. Altra ragione della sua prosperità, lo sfruttamento delle risorse minerarie del Campigliese e della vicina isola d’Elba, che ne fece uno dei centri metallurgici più sviluppati dell’antichità, tanto è vero che nel 205 a.C. fornì a Scipione l’Africano il ferro per la spedizione in Africa durante la seconda guerra punica.
Purtroppo anche Populonia, come Volterra, si schierò a favore di Mario durante la guerra civile: avendolo sconfitto, Silla decise di punire gli alleati del nemico, distruggendo la città. Fu così che cominciò il suo declino che si concluse nell’809 d.C. con un saccheggio perpetrato dagli Orobiti, pirati di origine slava dimoranti sulle montagne del Peloponneso. Dopo questo evento, l’abitato fu abbandonato e la città ricostruita pochi chilometri più a sud con il nome di Popolino, la piccola Populonia. Il borgo come lo vediamo ora risale al XV secolo ed il suo aspetto è tipicamente medievale, anche se presso l’attuale abitato sono ancora visibili le mura etrusche e resti di edifici di epoca romana. Del borgo medievale si può ammirare la rocca, sorta nel Trecento sull’acropoli dell’antica città e la chiesa di Santa Croce, del XV secolo. Quanti invece vogliono immergersi nell’architettura etrusca possono recarsi nel Parco Archeologico di Baratti e Populonia, per ammirare la necropoli orientalizzante di San Cerbone in cui si trovano decine di tombe a tumulo, a sarcofago e ad edicola la cui datazione va dal VII al VI secolo a.C. La più degna di nota è la tomba a tumulo detta “dei carri”, che misura 28 metri di diametro e costituisce uno dei tumuli più grandi mai costruiti dagli Etruschi. Tra quelle a edicola, la meglio conservata è la “Tomba del Bronzetto di offerente” dove ancora oggi si possono osservare, oltre ai blocchi squadrati che la compongono, la porta di chiusura originaria e il tetto a due spioventi.
Nella necropoli di San Cerbone sono stati trovati pregevoli reperti, divisi tra il Museo Archeologico di Firenze e il Museo Archeologico del Territorio di Populonia con sede a Piombino. Altra necropoli da esplorare è quella “delle Grotte” che si raggiunge percorrendo l’itinerario archeologico e naturalistico detto “Via delle Cave”, costellata da un altissimo numero di tombe scavate nella roccia e caratterizzate da architravi sbozzate, letti funebri ed in alcuni casi, sculture tese ad allontanare il malocchio.
Dalla necropoli provengono molti corredi funebri tra i quali l’incredibile numero di suppellettili della tomba 14, conservate nel Museo Archeologico del Territorio di Populonia. L’ultima visita è per la “Via del Ferro” che nella prima parte permette di ammirare tombe a tumulo; invece nella seconda si possono vedere i resti di alcuni quartieri industriali, utilizzati per la trasformazione dell’ematite elbana in ferro commerciabile.
Cortona (AR), Curtun in etrusco, è un’antica lucumonia facente parte, come le città precedenti, della dodecapoli etrusca. La leggenda vuole che sia stata opera di Dardano, figlio di Giove e di Elettra, che secondo quanto scrive Virgilio nell’Eneide, dopo averla edificata si sarebbe recato in Asia, dove avrebbe fondato Troia; così si spiega il noto proverbio: “Cortona, mamma di Troia e nonna di Roma”. Anche se affascinante, una leggenda rimane comunque tale, da chi e quando sia stata fondata Cortona non si sa, ma evidenze archeologiche attestano in zona una presenza etrusca sin dal tardo villanoviano, epoca che rappresenta la fase più antica di questo popolo. Era una città molto potente, in posizione strategica sulla sommità di un colle per un vasto controllo sui territori che costituivano la lucumonia. Tuttavia fu solo nel IV a.C. che furono costruite le possenti mura che la circondano per tre chilometri, le tombe “a melone” ed il monumentale altare funerario adornato da sfingi; sempre a Cortona fu ritrovata la “Tabula Cortonensis”, lamina bronzea con una delle più lunghe iscrizioni in lingua etrusca. Come altre città, anche Cortona strinse un’alleanza con Roma che però non venne rispettata, sfociando in un violento scontro nei pressi del Trasimeno.
Durante il periodo romano, Cortona perse molto della sua importanza; le uniche tracce degne d’interesse della presenza dell’Urbe sul territorio sono costituite da alcune strade basolate minori, ancora oggi percorribili e dai resti di una sontuosa villa romana nella frazione di Ossaia, così chiamata perché in quel luogo furono ammassati i resti dei caduti della battaglia del Trasimeno, tra i cartaginesi di Annibale ed i romani nella seconda guerra punica; proprio in quel periodo che il condottiero cartaginese cinse d’assedio ed assaltò Cortona. Oggi Cortona è una piacevolissima città d’aspetto medievale, che ha il suo fulcro nella Piazza della Repubblica, dove si incrociavano il cardo ed il decumano romani e dove sorgeva il foro: proprio su questa bella piazza si affacciano il Palazzo Comunale del XII secolo, il Palazzo del Capitano del Popolo, diventato Palazzo Passerini nel XVI secolo, e le Logge della Pescheria. Spostandosi in Piazza Signorelli, il visitatore trova il duecentesco Palazzo Casali che oggi ospita il Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona e il Teatro Signorelli.
La Piazza del Duomo, come dice il nome, dà ospitalità alla Cattedrale di Santa Maria Assunta del XVI secolo, in origine una pieve costruita sui resti di un tempio romano nel secolo XI. All’interno conserva alcune opere d’arte, tra cui l’Adorazione dei Magi di Pietro Berrettini. Proprio di fronte c’è la Chiesa del Gesù, oggi sede del Museo Diocesano, che oltre all’Annunciazione del Beato Angelico ospita anche opere di Luca Signorelli. È ovvio che il patrimonio religioso di Cortona non si esaurisce con i due edifici citati: anzi, sono ben ventitré in tutto le strutture che lo compongono, ma per ragioni di spazio citiamo solo la Chiesa di San Francesco che sorge su di un terrazzo artificiale di origine romana, dove erano probabilmente poste anche le terme.
L’edificio, progettato tra il 1245 ed il 1246, costituisce il primo e più qualificante esempio di architettura francescana; l’interno custodisce il cuscino funebre di San Francesco e il reliquiario della Croce Santa, oltre a un saio appartenuto, secondo la tradizione, al Santo. Prima di lasciare il centro storico cittadino per dedicarsi al Parco Archeologico, è d’obbligo percorrere Via Jannelli, per ammirare esternamente le pittoresche case medievali e godere così di un’atmosfera di altri tempi. Il patrimonio di Cortona è assai cospicuo e, oltre a quanto già citato in precedenza, vanno assolutamente visti il Tumulo I del Sodo, il Tumulo II del Sodo e il Tumulo di Camucia.
IL MISTERO DELLE VIE CAVE
Perché ogni via cava passa per una necropoli? Perché dalle alte pareti si affacciano continuamente aperture di tombe antiche? Perché chiese templari e romitori sono nelle loro vicinanze? E come mai alcuni credono che, ancora oggi, questi luoghi abbiano un “potere” particolare, tanto da celebrare al loro interno riti di iniziazione spirituale? Secondo molti, le vie cave sarebbero cammini sacri, passaggi rituali che conducevano dalle città dei vivi a quelle dei morti. La loro profondità sarebbe servita a renderli più vicini al sottosuolo, a contatto con quella che per gli Etruschi era la fonte diretta del potere sacro. La mappa delle vie sacre mostra come la loro distribuzione sembri obbedire ad un grande disegno geometrico: è come se tutte convergessero verso un preciso centro geografico, il lago di Bolsena, l’antico Velzna, al cui centro sorge l’isola Bisentina, sacra per gli Etruschi, che la scelsero come omphalos, l’ombelico sacro di tutta la loro civiltà.
LA MODA DEGLI ETRUSCHI
Gli Etruschi vestivano indumenti comodi, ma anche ricercati e facevano riferimento ai Greci per avere ispirazione ed introdurre elementi particolari nel loro guardaroba. Il capo d’abbigliamento comune sia agli uomini che alle donne era la tunica, mentre i pantaloni erano osteggiati perché ritenuti non sufficientemente eleganti. Le tuniche femminili, confezionate con lane colorate o in lino e chiamate “chitoni”, erano di fattura prettamente etrusca, più morbide in vita e simili ad un vestito odierno di media lunghezza a maniche lunghe. C’era poi un secondo tipo di stile ionico, molto più simile a quello greco, con maniche corte, più lunghe sul corpo e di fattura più lineare. A completare l’abbigliamento, mantelli di stile greco che potevano essere più o meno ampi. Tutti gli indumenti erano decorati scacchi, losanghe ed altri motivi; quelli confezionati in lana erano colorati, quelli in lino in tinta naturale. Molto famose erano le calzature, tanto è vero che furono i Greci ad ispirarvisi e non viceversa: quelle delle donne più ricche erano molto elaborate e raffinate, di gusto orientale, quelle della gente comune e dei soldati erano innanzitutto pratiche e comode. La gioielleria era raffinata e ricercata: gli orafi lavoravano l’oro con la tecnica della granulazione, che consisteva nell’applicare e saldare in modo invisibile tante micro particelle d’oro su una base dello stesso metallo, creando disegni, figure geometriche e creazioni d’incredibile bellezza; le donne sfoggiavano anelli, braccialetti, diademi e fermagli.
DA SAPERE PER LA SOSTA
Fiesole
Parcheggio Comunale - via Giovanni Bastianini
GPS: Lat: 43.80837 - Long: 11.29828
Volterra
Area Comunale P3 Fonte di Docciola - viale dei Filosofi
GPS: Lat: 43.40306 - Long: 10.86487
Populonia
Parcheggio comunale - via delle Tazze Attiche
GPS: Lat: 42.99538 – Long: 10.53851
Cortona
Parcheggio Comunale - viale Cesare Battisti
GPS: Lat: 43.27301 - Long: 11.98753
Si ringrazia Massimo Pucci dell’Ufficio Stampa del Comune di Cortona
Redazione: di Roberto Serassio