A me piace il camper…

A ME PIACE IL CAMPER 

L’oggetto a me caro è il furgone attrezzato che usiamo nel tempo libero. È come una casa con le ruote perché ha tutte le comodità di casa ovunque tu vada. A me piace tanto perché si può stare tutti insieme e perché possiamo andare in bici sulle piste ciclabili. Un’altra cosa che mi piace è che puoi spostarti quando più ti pare perché mi da una sensazione di libertà.

Andrea Bertalotto Grangetto - Villar Perosa (TO)

Ha soli dieci anni, ma le idee ben chiare: nel suo tema, Andrea ha composto una vera dichiarazione d’amore per il camper, mezzo sul quale ha fatto le prime importanti esperienze di viaggio insieme ai suoi parenti. Come si suol dire, piccoli camperisti crescono…

Il camper come strumento di pace

Ho apprezzato molto il vostro editoriale dedicato alla guerra e la proposta di esporre il simbolo della pace in evidenza sul parabrezza del camper. Un piccolo gesto che è anche un augurio da parte di tutti coloro che, alla guida di un camper, varcando confini regionali e nazionali, ben rappresentano un anelito non solo di pace ma anche di conoscenza di altre realtà, usi, tradizioni e di rispetto tra i popoli. Le vostre parole in quel editoriale sono state per me anche, a partire dalla foto del ‘Bulli’ Volkswagen,, un salto nel mio passato, occasione per riflessioni sulla guerra, sulle guerre. Sono nato a Genova in casa, come si usava un tempo e, nel soggiorno, nel 1956, c’erano ancora le venature sul pavimento di una bomba che aveva sventrato i due piani superiori e fermato la sua corsa di distruzione, appunto, al piano superiore. Le mie prime foto sono accanto al monumento ai caduti, recintato con bombe inesplose  dei bombardamenti su Genova, che fecero ben duemila morti). Anni dopo ci siamo trasferiti in Brasile per il lavoro di mio padre e il 1° di aprile del 1964, giorno del golpe militare in Brasile, per me fu anche il primo giorno in quel Paese. A Porto Alegre incrociammo i tank militari,presenza che fu non meno dura ma meno sanguinosa rispetto a quanto accadde in Cile, ’Argentina, Uruguay o Paraguay. In quegli anni già spopolava il ‘Kombi’, il nome del furgoncino ‘Bulli’ in Brasile, che riempiva le strade del Paese così come, pochi anni dopo la contestazione alla guerra del Vietnam da parte dei giovani americani, sarebbe avvenuta alla guida, appunto, del ‘Bulli-Kombi’. Sono cresciuto con il mito di Woodstock, di quel grande concerto  e di quei tre giorni di pace, amore e musica  che erano anche di disobbedienza alla guerra in atto allora. Non voglio però addentrarmi in considerazioni, su come anche quell’occasione sia diventata ‘consumo’ e come quella generazione sia poi stata devastata dalle droghe pesanti. Resta bello il ricordo del simbolo di quel concerto, una colomba (della pace) appoggiata su di una chitarra. Perché vi ho voluto condividere questi ricordi e riflessioni? Mi ritengo fortunato per non aver mai vissuto situazioni di guerra, e trovo insopportabile la leggerezza, mascherata da pensosità e gravità, con cui si tratta la guerra al presente. Ogni giorno si ‘consumano’ notizie, si descrivono strategie, vengono fatte supposizioni… e presto le notizie sulla guerra si trasformeranno in qualcosa di ‘endemico’, occupando meno spazio nei media e, quindi, nell’attenzione pubblica. Coloro riescono ad essere perentori nei loro giudizi e tranchant nelle loro analisi, dovrebbero sempre ricordare che i missili che si abbattono sulle persone reali, in divisa o meno, su tutti i lati di un fronte e non solo in Ucraina (Siria, Yemen, Libia, Etiopia, Mali, Congo, Sudan, Somalia solo per citarne alcune ancora in atto), per errore o calcolo preciso, hanno dimensioni che variano da quelle di un ciclomotore a quelle di un van fino al torpedone e, forse, sarebbe meglio non infervorarsi troppo per la guerra, ricordando che ci sono vittime in carne ed ossa e non sono solo i morti sul terreno, mentre ai vivi restano ferite visibili, e non.

Claudio

Ringraziamo il lettore per le sue parole, che sottoscriviamo in toto, lasciando alla sensibilità di ognuno ulteriori canali e riflessioni in merito.

Giuliana, non friuliana!

Vorrei segnalare che l’autrice del bell’articolo su Trieste ha sbagliato però ad indicare quella città friulana: infatti Trieste, pur essendo il capoluogo del Friuli Venezia Giulia, fa parte della Giulia, non del Friuli, territorio cui invece appartiene Udine. A me ed ai miei conoscenti originari di Trieste per questo ci si sono un po’ “rizzati i peli” per così dire, vedendo definita la nostra come “città friulana”. 

Alessandra Novello

Nell’Italia dei mille campanili, bisogna fare molta attenzione alle definizioni geografiche… Mi scuso, ovviamente, se mi è accaduto di scrivere città friulana riferendomi a Trieste, ma l’ho inteso come definizione identificante l’intera regione, così come avrei potuto indicare le città toscane o lombarde. A volte dimentico i campanilismi italiani ed accetto la tirata d’orecchie della nostra lettrice!

(R. Masotti)