La prima domanda è quasi obbligata: chi siete e cosa fate?
«Ci presentiamo: siamo Anna Maria e Vittorio, entrambi di Roma ed entrambi attualmente pensionati. La nostra passione sono i viaggi con il camper: possediamo un motorhome Hymer 654 con l’ottima meccanica Ducato 2.800 TD. Quella attuale, è la terza casa viaggiante che ci fa compagnia dal 2001. Durante l’ultimo viaggio nel 2019, visto che poi abbiamo dovuto fermarci a causa della pandemia, abbiamo festeggiato i suoi primi 300.000 chilometri. In totale, con i nostri tre automezzi abbiamo superato il mezzo milione di chilometri, una buona parte dei quali percorsi sulle piste del nord-Africa e del medioOriente. Per i nostri viaggi è l’ideale, meccanica semplice e senza elettronica, in modo che in qualsiasi località si trovi qualcuno capace di metterci le mani e risolvere eventuali problemi. Abbiamo visitato alcuni paesi dell’Africa occidentale, tutti quelli del nord Africa e del Medio-Oriente fino ad arrivare in Turkmenistan e Uzbekistan; abbiamo anche cercato per diversi mesi di ottenere un visto di transito dall’Arabia Saudita per poter entrare in Yemen, ma non è stato possibile. Non ci siamo però arresi: pur con dispiacere, abbiamo lasciato il camper a casa e dopo aver progettato l’itinerario per “l’Arabia Felix”, abbiamo raggiunto in aereo San'a', la capitale yemenita insieme ad una coppia di amici camperisti di Lecce con cui abbiamo condiviso un fantastico viaggio in fuoristrada per tutto il paese. Conoscendo molto bene l’Europa, dalla costa atlantica portoghese fino ai confini del nord-est norvegese, le nostre mete ci vedono proiettati verso MedioOriente, Asia minore ed Africa. Onestamente preferiamo queste ultime località per le loro bellezze, la loro arte e le profonde culture di popoli a noi prima sconosciuti, che come tali ci emozionano e ci affascinano. Senza dimenticare, ovviamente, le sensazioni ineguagliabili che si provano davanti agli immensi spazi, con centinaia di chilometri da affrontare tra morbidi deserti o vallate lussureggianti».
- Come vi preparate nell’affrontare un viaggio?
«Quando eravamo impegnati con il lavoro, potevamo contare su sei settimane tra ferie e festività soppresse. Le aziende dove eravamo, lavoravano a tempo pieno anche nei mesi estivi, quindi noi garantivamo una presenza a luglio ed agosto, preferendo di partire a settembre e rientrare a fine ottobre; oppure, come accadeva per i viaggi in Sahara, da gennaio a tutto febbraio. Questo è uno dei motivi per cui viaggiamo da soli: non era facile trovare amici con la stessa disponibilità di tempo libero. I porti di imbarco erano Brindisi per il Medio-Oriente o Palermo per l’Africa. Una volta acquistati i biglietti di andata e ritorno della nave, avevamo i due punti fermi da rispettare, le date entro le quali organizzare l’itinerario. Facevamo uno schema, una specie di calendario dove da un lato vi erano segnati i giorni, le cose da vedere ed i chilometri da effettuare, mentre l’altra metà era lasciata in bianco, perché veniva riempita un giorno dopo l’altro, con le località ed i siti archeologici visitati e i chilometri effettuati. Al tempo, ricordiamo, non esistevano i navigatori GPS. Una volta andati in pensione le cose sono cambiate: del viaggio si decide solo la destinazione finale e per il biglietto della nave scegliamo la soluzione “open”, con data libera per il ritorno. In questo modo, abbiamo fatto viaggi di durata variabile, dai due ai quattro mesi. Per chi ha possibilità di tempo, consigliamo sempre di non avere fretta, cosa negativa per chi, come noi, oltre che grande viaggiatore è anche appassionato anche di fotografia.»
- Avete sempre viaggiato in solitaria: ci sono stati momenti in cui avete provato paura o vi siete trovati in situazioni difficili?
«Un paio di viaggi li abbiamo fatti insieme ad un altro equipaggio, anche se non lo stesso, ma per motivi diversi o per la lunghezza dell’itinerario, a metà percorso ci siamo divisi; ma la cosa più importante è che siamo rimasti amici. Una volta eravamo diretti alle Isole Lofoten, in Norvegia, e l’altro a Djenné, in Mali. In viaggio, a volte capita di incontrare persone che condividono la nostra stessa passione, e nasca una fraterna amicizia. Nei primi anni 2000, sul “plateau du Fadnoun” la strada per Illizi a sud dell’Algeria, incontrammo un camperista svizzero con un Iveco 4x4 camperizzato. Parcheggiammo vicini su una piazzola per fotografare una profondissima falesia affacciata sul Sahara e scambiammo così qualche parola: scoprimmo in tal modo una persona gradevolissima, che viaggiava sola. Lo invitammo ad unirsi a noi per la cena e, dal giorno seguente abbiamo viaggiato insieme per due settimane, arrivando fino a Djanet. Due anni dopo facemmo ancora un viaggio in sua compagnia, sempre in Algeria, giungendo a Tamanrasset. Ed ovviamente a distanza di tanti anni, siamo ancora amici. Ad essere sinceri, paura non l’abbiamo mai provata, semmai apprensione. L’esperienza acquisita in tantissimi anni di viaggio ci ha sempre dato conforto: piuttosto, ricordiamo qualche inconveniente meccanico che ci è capitato come la rottura di un cuscinetto, il radiatore bucato nel deserto della Mauritania o il rimanere insabbiati: ma da tutte queste situazione ne siamo sempre usciti fuori, grazie anche alla grande ospitalità degli abitanti dei luoghi dove ci trovavamo».
- Qual è il Paese che vi è rimasto nel cuore e perché?
«Non crediamo possa esserci un Paese che ci sia nel cuore più di un altro: ognuno ha la sua particolarità, e l’importante è che lasci un’emozione. Ad esempio, secondo noi è inutile andare in Egitto, se non si è interessati all’archeologia: ma come non rimanere estasiati nel pernottare a dieci metri dalla Sfinge, come capitò a noi nel 1983, o dormire in pieno deserto illuminati soltanto dalla Via Lattea? Un posticino nel cuore è sicuramente riservato al deserto del Sahara, tra Libia, Algeria e Marocco: lo abbiamo attraversato ben sette volte, anche quando la frontiera tra Algeria e Marocco era aperta. Trovarsi sull’Assekrem, il massiccio roccioso a duemila metri in pieno Sahara algerino è stata una grande emozione: è li che abbiamo “conosciuto” Charles de Foucauld. In cima al monte, infatti, si trova un eremo in pietra viva eretto dal religioso francese nel 1911. Diversi altri eremi da lui costruiti sono sparsi per il territorio: abbiamo frequentato spesso quello di Béni Abbès, custodito dai “Piccoli fratelli di Gesù” che sono diventati anche nostri amici. Poi ci sono altre nazioni e popolazioni che ti lasciano qualcosa dentro, a secondo la sensibilità di ognuno. Nel viaggio in Mali, visitammo l’isola di Kalabougou sul fiume Niger, famosa per le ceramiche. Sulla riva ci sono venuti incontro un gruppo di bambini: ci guardavano con i loro grandi occhi e tutti ci presero per mano; avevamo un bambino per ogni dito, e vollero passeggiare con noi senza chiederci niente! Ma una preferenza particolare va all’Iran o, come preferiamo ancora chiamarla noi, alla Persia. La vastità del territorio, la storia millenaria di Persepoli e Parasgate, le città d’arte ed i suoi paesaggi infiniti: difficile trovare così tanto in una sola nazione, abitata da una popolazione indoeuropea che va dalle ex repubbliche sovietiche al golfo Persico fino all’Iraq. Ed al centro ci sono due grandi deserti, che ricordano la “Monument Valley” americana, le grandi distese di sale con lo spessore di cinque metri per centinaia di chilometri. È di sicuro un Paese che merita più di un viaggio: nona caso, anche per affetti personali, si siamo stati ben diciotto volte, vivendoci dai due ai tre mesi all’anno!»
-Qual è il prossimo viaggio in programma?
«Dall’ultimo del 2019, il nostro camper è sollevato su quattro cavalletti per non far ovalizzare le ruote: lui ci aspetta, ma vista la situazione al momento non abbiamo nuovi programmi di viaggio. Ma il nostro mondo d’interesse è tutto in agitazione: prima o poi ripartiremo...».