RICCIOLI DI SOLE
Ecco un piatto davvero sfizioso da preparare in riva al mare, che sposa il gusto tutto italiano della pasta ai sapori del mare con un tocco di croccante dato dai semi.
INGREDIENTI (2 PERS.)
160 gr spaghetti
1 foglio di alga nori
8 gamberoni
essenza di bergamotto
semi di lino e sesamo
sale e olio evo
PREPARAZIONE
Mettere a bollire l’acqua per la pasta e salarla; nel mentre, pulire i gamberi togliendo la testa e i carapaci, che terrete da parte, nonché eliminare l’intestino.
In una pentola cuocere a fuoco medio le teste di gambero e i carapaci coperti con tre dita di acqua e un pizzico di sale, in modo da ricavare un brodino veloce; dopo quindici minuti si spegne, si filtra e si aggiungono quattro gocce di essenza di bergamotto. Tagliare a striscioline sottili l’alga e tostarla in padella insieme ai semi per circa due minuti. Cuocere gli spaghetti nell’acqua salata; a metà cottura, scolarli e versarli nella padella in cui si sarà messo il brodo. Terminare la cottura degli spaghetti tenendoli sempre mescolati e aggiungendo un po’ di olio. Quando sono pronti, versare i gamberi in precedenza tagliati a rondelle, saltare e amalgamare il tutto e impiattare. Guarnire gli spaghetti con l’alga e i semi.
Buon appetito!
© Richard Rossi [www.vagabondandkitchen.com]
A chi, come noi, arriva nella seducente Granada in van, consigliamo di dirigersi subito al Mirador de San Miguel Alto e contemplare dall’alto, anzi quasi a dominare, questa caleidoscopica città-museo. Accanto al belvedere c’è un piazzale dove ci saranno sicuramente altri van in sosta: non si tratta di un’area attrezzata, ma molti giovani freak fanno base lì, in alto. Non c’è nessun servizio, ma basta fare una buona scorta della buonissima birra locale, Alhambra, per gustarsi i tramonti infuocati che quest’angolo di paradiso offre ogni giorno.
Da quassù ci rendiamo subito conto di come Granada sia una città di forti contrasti, dove convivono modernità e tradizione, Islam e cristianesimo, flamenco e musica contemporanea. Uno dei centri economici e culturali maggiori della penisola ispanica, Granada è stata l’ultima roccaforte araba, tornata sotto il dominio della corna spagnolo solo il 2 gennaio1492 dopo un’estenuante guerra durata oltre dieci anni, grazie anche alla protezione della Sierra Nevada. Quello che ci regala la Sierra Nevada ancora innevata in questa stagione.
Decidiamo di scendere a piedi in città attraverso un impervio sentiero, fatto di scalette e sterrato, che per un tratto ci fa scoprire una collina piena di grotte dove ancora si rifugiano gitani e spiriti liberi. Sono le famose grotte del quartiere di Sacromonte: risalgono probabilmente al XVI secolo, quando musulmani ed ebrei furono cacciati dalle loro case e ripararono fuori città. A loro si unirono poi i gitani: è proprio qui, nelle viuzze di Sacromonte, che nasce la zambra, la danza flamenca dei gitani di Granada, che letteralmente significa “rumore di strumento e di palmi di mani”, ed è qui che si parla calò, l’idioma indoeuropeo tipico dalla comunità Kalé, basato sulla lingua spagnola mischiata a elementi lessicali arabi e della Lingua romaní Ed ovviamente qui spopola il gipsy punk, altra miscellanea, stavolta musicale, che alle nostre orecchie appare seducente ed ammaliante.
Quando arrivarono al Sacromonte, i nuovi abitanti sbancarono la collina con tagli verticali per ottenere facciate delle case-grotta, quindi costruirono un arco e scavarono le stanze, imbiancate poi con la calce. Alcune grotte sono ora stati trasformati in locali o musei, dove si può intuire l’epoca di estrema vitalità vissuta dal quartiere fino all’alluvione del 1963, quando le star di Hollywood venivano qui a ballare il flamenco. L’alluvione distrusse molte abitazioni e diede l’occasione a Franco, allora ancora dittatore di Spagna, per trasferire molti gitani scomodi perché poco integrati con il resto della popolazione in quartieri lontani dal centro, liberando una zona in posizione decisamente privilegiata.
Decidiamo di girovagare un po’ senza meta, per goderci gli scorci e gli anfratti del candido Albayzín, il quartiere arabo dove pulsa più forte il ritmo della città, tra terrazze assolate, un groviglio di viuzze e angoli segreti. Facciamo tappa al Mirador di San Nicolas, e anche noi non resistiamo a uno scatto con la meravigliosa Alhambra sullo sfondo. Qui si fece immortalare Leonard Cohen, affascinato da Granada e dal poeta Federico Garcia Lorca: sono di Lorca i testi della sua Take this Waltz. Sempre qui si fece fotografare anche Joe Strummer, leader dei Clash, ossessionato da questa città e dal medesimo poeta, cui dedica la celebre “Spanish bombs”. Il suo amore per Granada fu ricambiato da questa piccola capitale spagnola del rock indipendente con la dedica di una piazza, piazza Joe Strummer appunto, che trovate nel quartiere Realejo.
Vecchio quartiere ebraico, il Realejo è un dedalo di strade che si dipana dal quadrato in pietra bianca di Campo del Príncipe: il quartiere nasce con l’occupazione musulmana di Granada nel 711, e qui gli ebrei si ritirano qui fino alla loro espulsione dalla città, decisa dai Re Cattolici con la reconquista del 1492.
Nella parte alta del Realejo si trova la casa-museo del compositore Manuel De Falla, intorno a cui si erano riuniti gli intellettuali della città, tra cui Garcia Lorca. Si tratta di una “carmen”, vecchia casa nobiliare in stile moresco, con all’interno giardini sfarzosi e fontane. In un carmen visse anche lo scrittore americano Washington Irving, autore de “I racconti dell’Alhambra“ con cui nel 1829 riaccese interesse verso il monumento che versava in stato di abbandono e che sarà riportato agli antichi splendori nel 1889 e riaperto al pubblico da re Alfonso XIII. A Irving è dedicata un’incisione sulla Porta di Giustizia, accesso principale all’Alhambra. Ci prendiamo un’intera giornata – ne vale assolutamente la pena ed è lungi dall’essere sufficiente – per visitarla: quel che ci colpisce è il silenzio che ci si può apprezzare nonostante la quantità di visitatori. Dev’essere la magia che crea cotanta pura bellezza intorno. Che emozione!
L’Alhambra - letteralmente la fortezza rossa - è il complesso architettonico medievale più importante ed eccentrico della cultura musulmana in Europa occidentale. La sua costruzione si estende su più secoli, dal Decimo fino alla Riconquista dei re cattolici nel 1492 e qui si riunì l’ultima corte musulmana di Spagna.
Dobbiamo superare due porte difensive prima di raggiungere l’alcazaba, la parte più antica dell’Alhambra, roccaforte dominata da una casa-torre tipica del feudalesimo. Ci dirigiamo poi verso i palazzi reali, stupendi, dove acqua e architettura si compenetrano.
Ci muoviamo usando tutti i cinque sensi, in particolare odoriamo tutte le rose, così diverse tra loro: a maggio, sono le rose a farla da padrone. Due chilometri di mura e ben trenta torri racchiudono un tesoro di profumi e corolle. Torniamo in città. Ammiriamo il liberty della Gran via de Colon, per arrivare alla Cattedrale, eccellenza del rinascimento spagnolo: la facciata, realizzata nel 1667, è un capolavoro dell’arte barocca. Girelliamo per il mercato arabo, l’Alcaiceria, comprando tantissime spezie: i mercanti del XIV secolo, specializzati nel commercio della seta, alloggiavano nel vicino Corral del Carbon e conducevano le relazioni sociali nei bagni arabi vicino al fiume Darro.
Ci dedichiamo all’arte del tapeo nella Plaza de la pescaderia, costellata di bar storici. Sappiate che esiste una terminologia specifica per le tapas, rigorosamente gratuite se si ordina da bere nelle sole province di Granada, Almerìa e Jaén. Sarà il barista a decidere cosa servirvi con ogni bicchiere e la qualità andrà aumentando man mano che aumentano i bicchieri!
Lasciata Granada, prendiamo la “ruta de los pueblos blancos”, la strada dei paesini bianchi. Deliziosi, piccoli fiocchi di neve cristallizzati nel verde della Sierra de Cádiz. Villamartin, El Bosque, Ubrique y Arcos de la Frontera. Questi borghi intonacati a calce, come vuole la tradizione berbera del “vicino” Maghreb, furono segnati dalle spedizioni militari castigliane durante la Reconquista: il potere della chiesa subentra, anche architettonicamente, a quello del castello, spesso di origine musulmana, dando vita a comunità cristiane arroccate e isolate. Quassù le comodità della vita moderna sono arrivate tardi, le tradizioni si sono conservate e i pueblos blancos sono diventati un riferimento dell’ecoturismo andaluso. Non fatevi sfuggire una sosta nelle bodegas, tipiche case-grotta, magazzini per conservare vino e cibo, dove si serviranno meravigliose parrillas.
E poi c’è Cadice: la regina dell’Andalusia atlantica, idealmente protesa verso Africa e Americhe. Città di impronta commerciale e portuale dove è evidente l’esplodere di una nuova vitalità culturale. Collegata alla penisola da un istmo di terra così esiguo che sembra di percorrere il ponte della Libertà per raggiungere Venezia, con la città lagunare ha in comune anche l’elevata pedonalità del centro storico: a cadice è rilassante gironzolare, incontrare la gente a piedi, niente traffico. Appena passata la Puerta de Tierra, ci innamoriamo della medina bianca, ancora parzialmente racchiusa da poderose mura settecentesche: piccole viuzze, piazze e piazzette, stupendi palazzi. Una stratificazione di stili che da conto dell’origine fenicia dell’abitato, poi conquistato da romani e arabi e quindi ripreso da re Alfonso X di Castiglia. Gli edifici coloniali la fanno somigliare incredibilmente a L’Avana: Cadice visse il suo periodo di gloria con la conquista delle Americhe e tesse un legame privilegiato con Cuba. La ammiriamo dal punto più alto, la Torre Tabira, originariamente torre di guardia del porto.
L’area più scenografica è il quartiere de la Caleta, delimitato da un lato dal Castello di Santa Catalina, fortezza sul mare del XVI secolo a pianta ottagonale, e dall’altro dal castello di San Sebastian. Quest’ultimo sorge su un isolotto unito alla spiaggia da un molo e dal 1985 è riconosciuto bene di interesse culturale.
Un gioiello della città è la Cattedrale nuova, con la sua cupola gialla, magnifica: i lavori di costruzione sono durati oltre cent’anni, vedendo modificarsi e sommarsi nel tempo gli stili, con all’originale progetto barocco subentrano influenze roccocò, quindi neoclassiche.
Dopo qualche nota di flamenco gaditano al barrio Santa Maria, ci dirigiamo al Mercato Centrale coperto, un palazzo del XIX secolo circondato da colonne corinzie: al mattino si comprano pesce, carne e verdure fresche, ed è circondato da moltissimi bar, ideali per provare ogni tipo di tapas.
Ultima tappa: relax al Parco Genovese, realizzato nel XVIII secolo dopo l’epidemia di colera e rimodellato nel tempo fino a diventare il giardino più importante della città. Si respira un grande potenziale qui. E di fronte c’è l’Oceano!
Ciò che fa di Cadice la nostra città spagnola preferita sono anche le spiagge vicine, quelle della Costa della Luce: una leggenda vuole che una balena, nel cercare la spiaggia più bella al mondo dove morire, si fosse spiaggiata proprio su Costa Ballena, comune di Rota. Ci fermiamo qui per la notte e ci godiamo il tramonto, tutto per noi tre.
CHI SIAMO
Richard Rossi è chef per vocazione: “Cucinare per me è curiosare tra i profumi, intuire accostamenti inediti, gustare i sapori tradizionali dei territori e poi tradurre tutto questo in pura magia, arte che restituisce piacere. Divertendomi”.
Richard, dopo aver gestito le cucine di alcuni ristoranti stellati di Firenze e Lucca, decide di prendersi del tempo per la nuova famiglia e dal 2018 diventa chef in camper col progetto #VagabondAndKitchen. L’idea è creare ricette originali ispirate al viaggio, utilizzando prodotti locali, possibilmente biologici. La fase di scoperta o ricerca di questi ingredienti è occasione di incontro, di mettersi in relazione coi produttori: quanti nuovi amici abbiamo incontrato! E quanto amore in quel che fanno, ciascuno a modo suo custode di biodiversità.
Richard viaggia insieme alla compagna e blogger Sabrina e al piccolo Edoardo. “Mai avuta una cucina così emozionante”.
L'ITINERARIO
Sono due città magnifiche ad aprire e chiudere il nostro itinerario: l’affascinante Granada, dove sono evidenti i retaggi arabi in architettura, musica e cucina, e la solare Cadice, protesa verso l’Atlantico e i Caraibi, fucina di creatività. Davvero difficile, se non impossibile, scegliere in quale delle due vivere per un po’: ci hanno ammaliato entrambe, con la loro ricchezza di sfaccettature.
IL VAN... E I NOSTRI PARTNER
Un Carado VLow 540 è stato il nostro nido su ruote per i tre mesi di viaggio della primavera 2018. C’è un comodo vano per ogni cosa, inclusi tutti i libri morbidi di Edoardo ai bordi del letto posteriore, che è un po’ anche il suo parco giochi mentre noi cuciniamo.
Grazie allora a Carado per averci sostenuto e a tutti gli altri partner del progetto per averci dato fiducia: Patagonia, Girandolo, Movera, Panda sunglasses, Officina Naturae, Cajà Vegan, Family Nation, la libreria online per ragazzi Mamma chi legge!, la libreria di viaggio On the Road a Firenze, Teli Rossi e l’illustratore Claudio Bandoli che ci ha raccontati con un bellissimo logo.
ANCHE LE PIANTE FANNO LA RICCHEZZA DELL'ALHAMBRA
A Granada abbiamo la fortuna di incontrare Pilar Campos Fernández-Fígares, illustratrice botánica che ha speso anni in un progetto sui giardini dell’Alhambra, diventato ora un meraviglioso libro coi suoi acquerelli: ‘Plantas de la Alhambra. 80 especies imprescindibles‘. Ci confessa che la selezione è stata dura perché nell'Alhambra ci sono bosco – andavano selezionate delle specie forestali – orti – e quindi alcune piante orticole – e infine i giardini. E anche nel giardini ci sono alberi, macchia e piante annuali. «L’unica pianta che ho davvero voluto - ci racconta con gli occhi che le brillano - è quella che da il meglio di sé in maggio e giugno; è una pianta silvestre che cresce sulle pareti, il trachelio coltivato (trachelium caeruleum; in spagnolo “flor de viuda” o “ ortensia de pared”). È una pianta stupenda; a volte si trova nei fossi ma soprattutto in montagna sulle pareti rocciose, spuntando in luoghi impossibili. All’Alhambra se ne sono presi cura molto e la si trova a fine primavera in tutti i muri vecchi di pietra… è bellissima e non è per nulla facile vederla in un contesto così, di giardino. Questo è un privilegio dell’Alhambra».
L'ANDALUSIA RACCONTATA DA GILL
Quella di Gill non è una guida turistica e non è nemmeno un resoconto storico: è molto di più. È un racconto sotto stratificato e appassionato che vi terrà incollati alla sedia, come quando si ascolta a bocca aperta qualcuno che narra gesta avventurose. Perché Gill è capace di dar conto delle mille anime e vicissitudini della terra di Al-Andalus e di farne innamorare.
www.odoya.it/index.php?main_page=product_book_info&products_id=620