Bussate e vi sarà aperto - 1° Parte

Sebbene il titolo scelto non si riferisca propriamente alla porta del convento, ma bensì al desiderio dei cristiani di ricevere lo Spirito Santo, è in linea comunque con l’argomento: tra i doveri dei monasteri c’è proprio quello di accogliere chiunque bussi alla loro porta in cerca di ospitalità e di aiuto. Il Lazio ad ogni buon conto può essere definita la sorgente, grazie a San Benedetto, da cui è scaturito il monachesimo così come lo intendiamo oggi: molti grandi ed illuminati abati si sono infatti ispirati alla regola del santo di Norcia per gettare le basi delle loro comunità di monaci, creando così un fertile terreno su cui hanno attecchito i semi di molte scienze.

L’ORIGINE DELL’ABBAZIA DI FARFA (RI)

è ancora incerta, anche se al tempo dell’invasione longobarda esisteva già una basilica con alcuni edifici monastici, per cui si può ragionevolmente supporre che risalga al VI secolo. Secondo leggenda, però, Tommaso di Moriena che viveva a Gerusalemme, in seguito ad una visione in cui la Madonna lo esortava a cercare in Sabina i resti di una basilica a lei dedicata, riedificò nell’ultimo ventennio del VII secolo, l’opera esistente e rifondò la comunità monastica. Nonostante la vicinanza alla Santa Sede, Farfa era un’abbazia imperiale, svincolata dal controllo pontificio. In pochi decenni divenne uno dei centri più famosi dell’Europa medievale, tant’è vero che lo stesso Carlo Magno, poco prima di essere incoronato in Campidoglio, visitò il complesso e vi sostò per un certo tempo. Grazie alla protezione imperiale, Farfa divenne sempre più importante economicamente: nel terzo decennio del secolo XI, sotto l’abate Ingoaldo, possedeva anche una nave commerciale esentata dai dazi in tutti i porti dell’impero carolingio. Tuttavia la decadenza imperiale e la penetrazione dei saraceni determinarono la rovina dell’abbazia: infatti alcune famiglie romane si insediarono nei territori abbaziali e ne divennero di fatto i padroni. Sotto la guida dell’abate Ugo, in contemporanea con il rilancio imperiale ad opera degli Ottoni, il complesso ebbe una nuova ripresa: nel 1047, con Berardo I, dopo l’introduzione della riforma nata a Cluny, Farfa ritornò ad essere abbazia imperiale e si schierò contro i papi nella lotta per le investiture finché, dopo il concordato di Worms, passò sotto il controllo papale. Tra alterne vicende, l’abbazia arrivò al 1798 quando subì il saccheggio da parte dei francesi e nel 1861 la confisca da parte dello stato italiano; dal 1921 appartiene alla comunità benedettina di San Paolo fuori le mura.

La chiesa abbaziale odierna risale alla seconda metà del secolo XV, è a croce latina con tre navate divise da due file di archi a tutto sesto poggianti su colonne ioniche di marmo, mentre l’interno, pur mantenendo la struttura originale, è di stile barocco. L’abside, attorno alla quale sono posti gli stalli lignei del coro barocco, è poligonale e ospita l’altare maggiore sormontato da un pregevole ciborio sulla cui cuspide si trova il bassorilievo raffigurante l’Assunzione di Maria. L’abbazia contiene una biblioteca statale con volumi, manoscritti e codici di gran pregio.

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IL MONASTERO DEL SACRO SPECO DI SUBIACO (RM)

incastonato sulla parete rocciosa del monte Taleo ha quasi mille anni e custodisce uno dei luoghi più significativi della religiosità benedettina: fu proprio nella grotta ora custodita all’interno del complesso che Benedetto da Norcia, all’inizio del VI secolo, visse da eremita, seguendo l’esempio degli anacoreti. E proprio durante quel periodo di solitudine il santo maturò quel carisma e quella spiritualità che lo portarono a fondare le prime comunità dalle quali nacque il monachesimo occidentale. Sebbene l’evoluzione della struttura, così come la conosciamo oggi, ebbe inizio solo a partire dalla seconda metà del secolo XI, la grotta era luogo di culto già dal VI secolo, mentre nell’VIII cominciarono a spuntare le prime testimonianze artistiche. Oggi il monastero è composto da due chiese sovrapposte e da numerose cappelle che seguono il profilo della parete di roccia a cui il complesso è accostato. La chiesa inferiore custodisce il sancta sanctorum del monastero, ovverosia la grotta in cui San Benedetto visse per ben tre anni. Entrando nella grotta, il visitatore viene letteralmente circondato da uno straordinario ciclo di affreschi risalenti al periodo tra il XIII ed il XIV secolo i cui temi riguardano la passione di Cristo, la vita della Madonna, il ritratto di San Francesco e ovviamente la vita di San Benedetto.

La chiesa superiore. l’ultima ad essere costruita, è formata da due campate irregolari, conseguenza delle numerose modifiche a cui l’edificio è stato sottoposto. Entrando non si può fare a meno di notare “la Crocifissione” opera trecentesca del maestro del Sacro Speco: è una vera iconostasi che, con dovizia di particolari, porta lo spettatore ad assistere quasi di presenza al martirio del Cristo. La parete di destra, rispetto all’entrata è invece caratterizzata da tre registri: nel primo inferiore è rappresentato il “Tradimento di Giuda” e la conseguente “Fuga degli Apostoli” e più a destra si può notare la “Flagellazione”; quello mediano rappresenta il “Giudizio di Pilato” e il “Viaggio al Calvario” ambedue con grande ricchezza di particolari; l’affresco del terzo registro è dedicato alla “Pentecoste”, descritta secondo il modo tradizionale, con gli apostoli seduti in atto di ricevere le fiammelle. Anche la parete di sinistra rispetto all’entrata è divisa in tre zone: nella prima è raffigurata “l’Entrata in Gerusalemme”; nella seconda troviamo “l’Incontro di Cristo con la Maddalena” e nella terza “L’Incredulità di San Tommaso”. La seconda campata è più antica della precedente, come rivela la volta più bassa e priva di costoloni: probabilmente era il nucleo originario della costruzione, in seguito ampliata con l’aggiunta della prima. Gli affreschi che coprono tutti gli spazi sono attribuibili a pittori di scuola umbro-marchigiana. Anche il transetto è tutto affrescato e gli artisti sono gli stessi che abbiamo avuto modo di ammirare nella chiesa. L’antico refettorio merita altresì una visita, se non altro per ammirare un’Ultima Cena del Trecento, recentemente riportata al suo antico splendore. Attraverso il braccio destro del transetto della chiesa superiore si accede al “Cortile del Corvi”, così chiamato perché sino a non molto tempo fa venivano allevati alcuni uccelli in ricordo di quello che portò via il pane avvelenato, offerto a San Benedetto dal prete Fiorenzo allo scopo di ucciderlo.

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IL MONASTERO DI SANTA SCOLASTICA

è uno dei dodici complessi monastici voluti da San Benedetto in quel di Subiaco (RM): fondato nel 520, è il più antico d’Italia, subito seguito da Montecassino. Attribuito originalmente a San Silvestro, gli furono ben presto affiancati i nomi di San Benedetto e Santa Scolastica, sorella del santo di Norcia, salvo dopo il XV secolo dedicarlo solo a quest’ultima. Devastata dai saraceni nel IX secolo, la chiesa romanica fu restaurata grazie al volere dei papi Gregorio IV e Leone IV e fu consacrata nel 980 da Bendetto VII. Il campanile venne eretto invece nel 1052, mentre il chiostro cosmatesco, voluto dall’abate Lando, fu realizzato nel 1200. In tutto sono tre i chiostri che caratterizzano il complesso: il cosmatesco, il gotico, costruito tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento ed il rinascimentale, iniziato nel 1580.

La chiesa abbaziale sorge sul primo oratorio dedicato a San Benedetto e di cui si sono scoperte le tracce nel 1962 e si presume che nel IX secolo ne venne costruita un’altra sulla preesistente. Una terza, edificata in stile romanico, fu consacrata nel 980 da Benedetto VII e rifatta nel 1300 in stile gotico cistercense, mantenendo però inalterate le dimensioni originali. La chiesa subì un nuovo restauro in stile neoclassico nel 1769 per opera dell’architetto Giacomo Quarenghi che seguì però la struttura gotica precedente riscontrabile dal portale. L’edificio è a croce latina, ad una sola navata a forma di rettangolo irregolare, con volta a botte e decorazioni risalenti all’epoca del restauro Quarenghi che s’ispirò al Palladio ed alla chiesa del Santissimo Redentore alla Giudecca di Venezia. Al piano superiore del lato nord del chiostro gotico si trova la biblioteca fondata alla fine del 1100 dall’abate Giovanni V, uomo di vasta cultura che chiamò a popolare il suo “scriptorium” miniatori di grande fama, provenienti da monasteri italiani e stranieri. Anche i suoi successori seguirono il suo esempio, tanto è vero che alla fine del 1300 contava diecimila volumi. Oggi la biblioteca statale di Santa Scolastica contiene 100.000 volumi, 3.780 pergamene, 15.000 documenti cartacei dal 1500 in poi, 440 codici manoscritti e 213 incunaboli, di cui solo 3 stampati. Tra il X ed il XIII secolo il monastero acquisì diversi beni grazie alle donazioni di sovrani ed ecclesiastici divenendo uno dei feudi più potenti dello stato pontificio; nel 1276, la Santa Sede si arrogò il diritto di eleggere gli abati finché nel 1456 papa Callisto III trasformò il complesso in regime di commenda, salvo poi essere riportato al diritto comune sotto il papato di Pio X.

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LE PRIMA NOTIZIA DELL’ESISTENZA

di una sorta di eremo a Palazzolo (RM) daterebbe al 1050 od eventualmente al 1109. Tuttavia, durante il pontificato di Innocenzo III (1198–1216) la chiesa apparteneva ai cluniacensi della basilica di San Saba in Roma. La proprietà venne però affidata nel 1204 ad una comunità di eremiti che, su decisione di papa Onorio onde evitare l’eccessiva proliferazione degli ordini religiosi, fu obbligata ad entrare nella comunità degli agostiniani. Nel 1237, papa Gregorio IX decretò l’unione degli eremiti di Palazzolo con i monaci cistercensi dell’abbazia delle Tre Fontane di Roma. Essendo l’abbazia romana posta in un territorio malarico lungo la via Laurentina, i monaci ivi residenti ottennero, sin dal 1225, la possibilità di trasferirsi durante il periodo estivo nel più salubre feudo di Nemi e di dimorare nel convento di Palazzolo.

L’importanza del complesso posto sul lago di Albano crebbe molto con gli anni, tanto è vero che nel 1244 papa Innocenzo IV decretò l’indipendenza dell’abbazia da quella capitolina. Le sue proprietà fondiarie si estendevano a tutto il versante meridionale del lago di Albano ed in alcuni terreni a Marino, Albano Laziale e Tivoli. Nel XIV secolo, i religiosi di Palazzolo erano così indebitati che furono costretti a vendere i fondi del territorio di Albano alle monache agostiniane del santuario di Santa Maria della Rotonda, situato nel medesimo comune: appunto in questo periodo iniziò la decadenza dell’abbazia, prima con la trasformazione del complesso in commenda e poi con il trasferimento ai certosini del monastero di Santa Croce in Gerusalemme di Roma che, a loro volta lo donarono ai frati minori osservanti che lo tennero per tutto il Cinquecento, salvo poi cederlo ai frati minori riformati e riacquistarlo da questi pochi anni dopo.

Insomma, per far breve una lunga storia, il convento fu chiuso durante la parentesi rivoluzionaria della Repubblica Romana, durante la dominazione napole onica del Lazio e dopo la presa di Roma del 1870. Fu ceduto al Portogallo in cambio del convento di Santa Maria in Ara Coeli il quale lo trasformò in residenza dell’ambasciatore portoghese in Italia. Divenne casa di cura e profilassi e poi venduto al Venerable English College che lo utilizza tutt’ora come soggiorno estivo degli allievi del collegio. L’edificio del convento ricalca la pianta di quellicistercensi dell’epoca e si trova a destra della chiesa. Tuttavia, fu sopraelevato di un piano, forse nel Settecento, allo scopo di ottenere una vista migliore sul lago. Il Venerable English College ha attrezzato l’edificio con una cinquantina di stanze per gli ospiti ed utilizza ancora il refettorio settecentesco arredato con scranni in noce ed un quadro raffigurante “Le Nozze di Cana”. Alla chiesa si accede attraverso un portico d’ingresso che ricalca la tradizione cistercense, databile alla prima metà del Duecento, anche se l’aspetto attuale gli venne dato nel corso del Settecento. L’interno della chiesa, ad una sola navata con volta a cerniera cinghiata, richiama l’interno della Certosa di Trisulti, che visiteremo subito dopo Palazzolo. L’intero edificio fu sottoposto a molteplici rimaneggiamenti, l’ultimo dei quali ebbe luogo nel Novecento.

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LA CERTOSA DI TRISULTI

è un complesso monastico nel comune di Collepardo (FR) alle falde del monte Rotonaria, a 825 m di altitudine: riconosciuta Monumento Nazionale nel 1874, l’abbazia è oggi gestita dal Ministero per i beni e le attività culturali tramite la Direzione Regionale Musei del Lazio ed è di recente balzata agli onori delle cronache per vicende che poco hanno a che fare con la tradizione religiosa. Il monastero attuale fu costruito nel 1204 a poca distanza da una prima abbazia fondata nel 996, da San Domenico di Sora, di cui si possono ancora apprezzare alcuni ruderi e affidato ai certosini, su volere di papa Innocenzo III. La chiesa, dedicata a San Bartolomeo venne invece consacrata nel 1211. L’insieme è stato ampliato e modificato più volte nel corso dei secoli e attualmente si presenta in una veste barocca. La certosa è tutta racchiusa da mura e vi si accede tramite un grande portale sul quale spicca un busto di San Bartolomeo, opera di Jacopo Lo Duca allievo di Michelangelo.

Nel piazzale principale, oltre all’antica foresteria romano-gotica detta anche “palazzo di Innocenzo III”, trovano collocazione la chiesa di San Bartolomeo ed un’antica biblioteca contenente 36.000 volumi. La chiesa, dedicata alla Vergine Assunta, a San Bartolomeo e a San Bruno fondatore dei certosini, è stata rimaneggiata più volte, sovrapponendo all’originale struttura gotica un impianto decorativo barocco. Un’iconostasi suddivide l’interno in due parti: quella dei conversi e quella dei padri, secondo la consuetudine certosina. Nella chiesa sono conservati due pregevoli cori lignei, del 1564 il primo e del 1688 il secondo, oltre a pregevoli opere pittoriche realizzate da Filippo Baldi. L’antica farmacia risale al XVIII secolo, è costituita da più ambienti posti su due livelli, decorata con realistici trompe l’oeil d’ispirazione pompeiana. Nelle sale sono esposti alcuni vasi in cui un tempo venivano conservate erbe medicamentose e veleni estratti dai serpenti. Il giardino antistante, le cui siepi di bosso ripropongono forme animali, un tempo era un orto botanico.

www.collepardo.it

MESSE NERE E SATANISMO?

A partire dagli anni Novanta del secolo scorso cominciarono a girare voci riguardanti il satanismo e le messe nere che si sarebbero svolte nelle grotte prossime al complesso di Palazzolo ed in alcune lussuose ville della zona. Alcune tracce di queste cerimonie furono infatti rinvenute nel 1994. Si trattava di messe nere svolte per personaggi che pagavano per assistervi anche somme importanti: si vociferava che ognuno di coloro che vi presenziavano pagasse importi non inferiori ai cinque milioni di lire italiane, oltre 2.500 euro di oggi. All’epoca, dei fatti si occuparono “Il Messaggero” del 1995 e poi anche “Il Corriere della Sera”, con reportage che fecero scalpore, dopo alcuni episodi di cronaca nera avvenuti nei dintorni del complesso religioso, a Frattocchie, Tuscolo, Albano Laziale, Frascati e Nemi.

PER LA SOSTA

Abbazia di Farfa Area comunale - Via del Monastero, 1 Castelnuovo di Farfa

GPS: Lat: 42.22132, Long: 12.71637

Monastero di San Benedetto e Monastero di Santa Scolastica Parcheggio del monastero Strada Provinciale 45a - Subiaco

GPS: Lat 41.9188, Long 13.11236

Convento di Palazzolo Area comunale - Via Riccardo Lombardi Albano Laziale GPS: Lat 41.73189, Long 12.65236 Certosa di Trisulti Parking, Strada Provinciale 224 - Collepardo

GPS: Lat 41.78021, Long 13.39626

(fine prima parte - continua)

Roberto Serassio